CARA, FACCIO IL LAVORO DI JAMES BOND

La Stampa n. 14/2010

Ci sarà bisogno della carta geografica delle pattumiere. Con dei bei colorini verdino, rosino, giallino come quelli nel quadrone dietro la cattedra della maestra. Me la ricordo perfettamente. Era grande, ma non troppo e con una occhiata prendevi tutto il mondo. Le isole, in mezzo a tutto quell’azzurrino, mi davano un senso di estromissione, di lontananza, quasi di disagio. Sensazione che mi è rimasta. Ecco, meglio l’isola che non c’è. Quella sì, che mi toglie l’ansia, il senso di soffocamento. Mi tranquillizza, mi calma. Anche la grande chiazza di rifiuti del Pacifico, la Great Pacific Garbage Patch praticamente è un’isola che non c’è, meglio, che vorrei non ci fosse. E invece esiste ed è lì nella sua deformità. Un mostro colossale, valutato da due a cinquanta volte l’Italia, profondo dieci metri, fatto della plastica e degli scarti dell’uomo che, nella sua nota astuzia e rinomata lungimiranza, non ha calcolato che quella robaccia sarebbe rientrata nella catena alimentare. “Ma dai, chissenefrega, non succederà certamente durante la mia vita, e quella dei miei figli? Beh, si arrangeranno”. Aveva ragione Simone Weil: “È inutile spiegare a una collettività che in ciascuna delle unità che la compongono vi è qualcosa che essa non deve violare. Prima di tutto una collettività non è qualcuno se non per finzione; non ha esistenza se non astratta; rivolgerle la parola è dunque un’operazione fittizia. Poi, se fosse qualcuno, sarebbe qualcuno che non è disposto a rispettare altri che se stesso”.
Quando mi hanno detto dell’esistenza di questo raccapricciante “coso” non volevo crederci. Anzi non volevo crederci due volte perché i “cosi” sono due. Uno nell’Atlantico e uno nel Pacifico.
La stupidità dell’uomo tecnologico che non controlla il prodotto ultimo del proprio operato è grande e radicata. I mostri oceanici galleggianti crescono a dismisura dagli anni ‘50, nascosti alla sorveglianza dei satelliti, accumulando uno strascico di pezzetti di plastica e di altri materiali non degradabili dal normale riciclo della natura buona e misericordiosa. Non sappiamo più dove e come mascherare la nostra inettitudine nel controllare i nostri rifiuti. Lo scenario apocalittico della Terra che funzionerà a malapena come discarica di se stessa, appesantendosi di inutili rottami, ha lo sfondo nero-lucido dei sacchi della spazzatura. Nessun attracco nell’Universo ci verrà consentito.

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11 Aprile 2010

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