TROPPO FACILE DIRE TE L’AVEVO DETTO

La Stampa n. 24/2010

Ci stavo benissimo dentro la vittoria ai Mondiali del 2006. Ovvio. È così facile stare al calduccio o al frescuccio nella propria casa a pretendere che gli altri diano il sangue, per se stessi, certo, ma anche per noi che, solo perché abbiamo fatto il tifo come i pazzi, ce la meritiamo proprio, oh, se ce la meritiamo.
Vincere per interposta persona, per interposta squadra è una meraviglia. Come negarlo? Non rischiamo niente, non dobbiamo avere alcuna competenza, ci arroghiamo il diritto di fare e disfare le formazioni, possiamo disquisire di tattiche come se fossimo tutti, come minimo, Mourinho. Senza un graffio, senza entrare in contatto fisico con il difensore, senza il dolore, la tortura, lo spasimo che ti fa piangere quando le cose vanno male. E qualche volta vanno così male che sai che verrai maltrattato e offeso oltre ogni decenza.
Ci manca che dicano che i nostri ragazzi e Lippi sono degli assassini, il resto del corredo delle ingiurie è stato utilizzato fino alla feccia.
Ci stavo benissimo dentro la vittoria ai mondiali del 2006, ma non mi straccio le vesti perché siamo usciti. Mi dispiace. Moltissimo. E non ho voglia di criticare, intanto che piango un po’, quelli che piangono più di me. Io non dico «l’avevo detto», io non dico «lo sapevo».
Adesso, come Valentino Rossi per il Moto GP, desidererei che nessuno vincesse il Campionato del Mondo di Calcio, troppo orfano di magliette azzurre. Se ne stanno impossessando, oltre all’onnivoro immeritevole Blatter, quelle squadre rappresentanti di quei popoli che più civilmente di noi interpretano vittorie e sconfitte riconoscendone la probabile alternanza. Se è vero che la vera patria è quella in cui incontriamo più persone che ci assomigliano, io credo che la mia sia un luogo dove non si incontrano tanti vincitori.
Poco abituati al successo e molto dediti alla costruzione di alibi, siamo abbastanza patetici quando ci identifichiamo con «l’interposta persona» che si è guadagnata una gloria. Non sarebbe neanche un difetto così indecente. La debolezza di un orgoglio un po’ inquinato non è di per sé disdicevole in un contesto di mediocrità prevalente. Più inconcepibile diventa la faccia immodesta di chi corre a rinnegare, subito dopo un tonfo.
Mando un abbraccio affettuoso ai nostri che sono tornati dal Sudafrica e ricordo a loro e a tutti che, fino all’undici luglio, siamo i Campioni del Mondo in carica.

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27 Giugno 2010

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