FERMATE IL FAR WEST DEI PAPARAZZI

La Stampa n. 16/2010

Se uno usa lo spray urticante vuol dire che la situazione è sfuggita di mano. Adesso serve un intervento potente che metta a posto i ruoli, le responsabilità e i limiti. E se una volta nessuno si muoveva perché i politici erano intoccabili, nessuno li paparazzava se non in occasioni ufficiali, adesso che si è visto che sono toccabilissimi, spero che si decidano a mettere fine a questo vergognoso Far West. Quando uno è disposto a passar sopra all’incolumità fisica, quella morale l’hanno già allegramente calpestata, per fare uno straccio di fotografia, qualcuno deve intervenire. C’è una ragazza in un letto di ospedale, operata d’urgenza per un trauma toracico provocato da un «gentiluomo» disposto a tutto. Una volta si accontentavano di fotografarti vicino ad un passante e dire che era il tuo ultimo amore. Su un settimanale di molto tempo fa è uscita una serie di foto: un giovane uomo mi accompagnava per una strada di Roma. «Ecco il nuovo amore di Mina». Peccato che quel giovane uomo, per altro bellissimo, fosse mio padre. Questo sembra un episodio di un periodo romantico, a fronte di quello che succede oggi.
Io non ho tanta voglia di vedere un uomo sputtanato per aver fatto qualcosa di cui deve rendere conto solo a se stesso e alla sua famiglia.
Non ho tanta voglia di vedere che le leggi di un popolo, seppure di guardoni, giustifichino gli scassinatori dei buchi della serratura. È fin troppo noto il meccanismo dei finti scoop in cui finti importanti e pretenziosi signor nessuno si accordano con finti artisti della paparazzata per immortalare finte storielle di amori penosi. Per soddisfare i pruriti degli endoscopisti del mondo dei lustrini ce ne sarebbe abbastanza. Nessuno si accorge dell’inganno, le copertine brillano, i lettori fibrillano, qualche misero soldino gira comunque, ma almeno nessuno si avvilisce e nessuno si ferisce. Non sono tanto portata a criticare l’indecenza che, per sua natura, è poco obiettivabile, ma questa volta sono leggermente arrabbiatina e mi capita di pretendere una piccola vendetta. Claudia Pandolfi ha tutta la mia tenerezza e i miei auguri. Mi aspetto una sentenza dura, un bel castigo esemplare sorretto dall’aggravante dell’idiozia e della premeditazione.
Ho sentito un paparazzo che rispondeva con voce lamentosa a chi non ne poteva più della sua aggressiva intrusione: «Ma io faccio il mio lavoro». Il tuo lavoro? Ma va’ a lavorare.

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25 Aprile 2010

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