CHI PROFANA IL RICORDO DI MARILYN

La Stampa n. 15/2010

Uno dei personaggi di «Priscilla la regina del deserto», deliziosissimo film del 1994 diretto da Stephan Elliott, mostrava fieramente agli amici un trofeo del quale era molto orgoglioso. Lui, grande amante degli Abba, un giorno si trovò a usare dopo di loro il bagno di un albergo e notò che qualcosa galleggiava… Non gli sembrò vero. Subito si appropriò di quel piccolo conglomerato fecale, lo mise in un contenitore trasparente e ne fece una reliquia, mostrandola a tutti nell’imbarazzo generale. Questo era solo un film, fantasia, ma, come al solito, la realtà supera ogni sconcezza.
Il commercio di reliquie, profane o sacre che siano, dovrebbe essere un reato. Così almeno recitano le leggi del diritto canonico e dei codici civili. E se proprio non bastasse, potrebbe intervenire un basilare buongusto. In realtà, se volete, vi potete avventurare impunemente in navigazioni strampalate dove incontrereste pacchetti in vendita di ex ossibus comprendenti brandelli di tuniche di santi, capelli di beati, unghie di martiri. Oppure qualche offerta speciale come, per esempio, uno stock di ossa tipo prendi tre paghi due, per appassionati, ma tirchi collezionisti. Per laicissimi feticisti non amanti del risparmio, oggi, è possibile partecipare all’asta per l’aggiudicazione di una radiografia di Marilyn Monroe.
Qualcuno se la comprerà. E questo è già abbastanza orrido. Ma cosa dire di chi la vende? Mi vengono in punta di penna definizioni irripetibili. Pensateci voi, per favore. Il torace di Marilyn rimarrà nella memoria collettiva come un’icona identificativa, se non esemplificativa, della seconda metà del novecento: il colore della pelle, i capelli biondi che vi si appoggiano, il seno pinuppico postbellico e anche bellico, quando la guerra non è più mondiale. Il suo cuore aveva probabilmente la fragilità tipica che accompagna la bellezza. I polmoni erano probabilmente capaci di quel sospiro famoso «happy birthday, mister President» e di urla di paura per il mondo. Una sua lastra non potrebbe mai incidere sul ricordo e sulla conoscenza. Per questo diventa quasi sacrilego il commercio di immagini private, intime, radiografiche, appunto. Lo sport di spolpare chiunque fino alla profanazione del cadavere, al rispolvero delle ceneri, all’erosione dei cimeli è popolarissimo. «La morte si sconta vivendo», diceva Ungaretti. Anche dopo morti, però, mi sembra che non sia finita.

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18 Aprile 2010

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